Carissimi, quest’anno come ho già scritto siamo nell’anno del 100enario della nascita dello scautismo cattolico e molte sono le cose che bollono nelle pentole degli scout….
quest’anno è un anno speciale nasce nel 1916 fondazione dell’ASCI con il benestare della Santa Sede, il Papa ha nomina un gesuita, padre Giuseppe Gianfranceschi sj, primo Assistente ecclesiastico centrale della neonata Associazione; il primo capo scout dell’ASCI, conte Mario di Carpegna (a sua volta guardia nobile del Papa), affiancato da Mario Mazza che aveva già iniziato un’esperienza di scautismo cattolico con le “Gioiose” liguri, unità giovanile cattoliche costituite alcuni anni prima con un metodo pedagogico di impronta scautistica….
ecco un disegno originale del Conte Mario Di Carpegna…. che mi ha passato Maurizio Cavalli della mia comunità…
10 gennaio 2016
Battesimo del Signore
Lc 3,15-16.21-22
Commento al Vangelo
di ENZO BIANCHI
5Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
21Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì 22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
È la festa del battesimo di Gesù, della sua immersione da parte di Giovanni nel fiume Giordano: il primo atto di Gesù uomo maturo, la sua prima apparizione pubblica. Tutti i vangeli ricordano questo evento posto all’inizio del ministero di Gesù, e ciascuno lo narra in modo proprio: cerchiamo dunque di comprendere ed esplicitare le peculiarità del racconto di Luca.
Giovanni il Battista aveva annunciato un Veniente più forte di lui, che avrebbe immerso (cioè battezzato) non nelle acque del Giordano ma in Spirito santo e fuoco. E tuttavia questo Veniente, che è discepolo di Giovanni e porta il nome non ancora noto di Jeshu‘a, Gesù, va anche lui a farsi battezzare. Luca sottolinea che egli fa questo insieme a “tutto il popolo”, espressione enfatica che vuole porre l’accento sul popolo radunato da colui che “evangelizzava” (Lc 3,18), cioè annunciava la buona notizia. Solidale con quel popolo, uomo come tutti gli altri, mescolato alla folla anonima, in fila tra uomini e donne, senza nessuna volontà di distinzione dai peccatori, Gesù si fa immergere da Giovanni: con il popolo, in mezzo al popolo, uno del popolo, dove questo termine indica certamente la gente ordinaria, ma anche quel nuovo popolo che Dio sta radunando per farne il suo popolo per sempre. Questo il primo gesto della vita pubblica di Gesù: non una predicazione, non un miracolo, non qualcosa che potesse meravigliare i presenti, ma un gesto umano di umiltà, di sottomissione a Dio e di totale solidarietà con i suoi fratelli peccatori.
Luca vuole anche mettere in evidenza ciò che accade a Gesù, ciò che diventa sua esperienza personalissima in quell’evento. A differenza degli altri vangeli rivela che Gesù riceve il battesimo mentre sta pregando, cioè sta invocando il suo Dio e Padre. Cosa significa pregare? Poche cose: fare silenzio, fare spazio dentro di sé allo Spirito di Dio per accogliere quella parola di Dio che lo Spirito stesso fa risuonare. Questa e solo questa è la preghiera cristiana: non parole dette a Dio, non ripetizione di formule, non esercizio di affetti, ma silenzio, predisposizione di se stessi all’accoglienza della Parola e dello Spirito di Dio. Avviene per Gesù ciò che avviene per la prima comunità dei discepoli, dopo la sua resurrezione, quando resterà in preghiera, farà spazio allo Spirito e riceverà il dono (cf. At 1,4; 2,1-12). Per questo Gesù, secondo Luca, parlando della preghiera e del suo esaudimento precisa: “Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono” (Lc 11,13).
Gesù dunque si fa immergere da Giovanni ma soprattutto prega, appresta tutto il suo essere per farsi dimora dello Spirito santo, che solo Gesù vede scendere dal cielo sotto forma di colomba per dimorare in lui. È il segno dello Spirito di Dio che covava sulle acque al momento della creazione (cf. Gen 1,2), il segno della Shekinà, la Presenza del Dio vivente. I cieli si aprono per questa discesa da Dio dello Spirito e, con lo Spirito, ecco risuonare la parola personalissima rivolta a Gesù: “Tu!”. “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato” sono le parole del salmo 2 (v. 7), che Gesù sa pregare e che sente rivolte a sé, accompagnate da tutta la gioia del Padre nel pronunciarle: “Sono contento di sceglierti, in te ho posto la mia gioia”, la gioia di Dio che sceglie il suo Servo (cf. Is 42,1). Nessuno ascolta quella voce, nessuno vede scendere lo Spirito all’infuori di Gesù, che nella fede dopo quell’evento potrà dunque ripetere: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto e mi ha inviato a portare la buona notizia ai poveri” (Lc 4,18; Is 61,1). Questa la sua chiamata, che Gesù realizzerà pienamente e puntualmente quale Servo del Signore, vocazione profetica e messianica.
“Gesù aveva circa trent’anni” (Lc 3,23), annota Luca subito dopo, dunque ha trascorso molti anni di vita nascosta. Dal suo bar mitzwà, quando a dodici anni divenne “figlio del comandamento” (cf. Lc 2,41-50), fino a questa rivelazione di Dio, ha vissuto un’esistenza ordinaria e oscura. Inutile ricostruire con la fantasia e l’immaginazione quegli anni, per farne discendere una spiritualità di Gesù in famiglia, di Gesù operaio, di Gesù a Nazaret… Ci basti sapere che ha atteso, che non si è dato ruoli né una vocazione, ma che ha sempre saputo vivere l’oggi di Dio. Siamo certi soltanto della sua obbedienza a Dio piuttosto che agli uomini e alla famiglia (cf. Lc 2,49; At 5,29); della sua disponibilità a fare posto nella propria vita e nel proprio corpo allo Spirito santo, “il suo compagno inseparabile” (Basilio di Cesarea); del suo esercitarsi nell’arte dell’ascolto della Parola di Dio, che egli trovava nell’assiduità alle sante Scritture, studiando l’ebraico, lingua ormai desueta, imparando da maestri a leggere e interpretare la Legge e i Profeti, mettendosi alla sequela di Giovanni come discepolo. Questo fino a circa trent’anni, quando ormai era un uomo maturo e, per il suo tempo, avanti negli anni. E quando il suo maestro Giovanni fu imprigionato da Erode (cf. Lc 3,19-20), ecco venuta la sua ora, l’ora di far risuonare la sua parola, l’ora di proclamare il Vangelo, l’ora di percorrere le vie della Galilea e della Giudea per “passare tra gli umani facendo il bene” (cf. At 10,38).
Questo cammino va dall’immersione nelle acque del Giordano all’immersione nelle acque della passione e della morte (cf. Sal 69,2-3). E anche nell’ora della morte Gesù sarà come uno di noi, annoverato e crocifisso tra due malfattori (cf. Lc 22,37; 23,33; Is 53,12), e perciò solidale con i peccatori, come lo era stato per tutta la vita. Li aveva preferiti ai giusti, facendosi battezzare insieme a loro da Giovanni; li preferirà ancora ai giusti morendo in croce tra di loro, ma arrivando a promettere proprio a uno di loro: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). E appena morto sentirà di nuovo la voce del Padre: “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato”, voce che lo richiama dai morti, Spirito santo che lo rialza alla vita eterna. L’Apostolo Paolo rileggerà questa storia in modo sintetico all’inizio della Lettera ai Romani: “Cristo Gesù, … Figlio di Dio, nato dalla stirpe di David secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito santo, attraverso la resurrezione dei morti” (Rm 1,1.3-4).