A Bose con la SCUOLA …..
Zaccheo era il nome attribuito da noi giovani scout ad uno dei mezzi che avevamo in parrocchia.. era un pulmino 850 FIAT, che serviva per portare in giro i vestiti e le derrate durante le raccolte anche del “CALDO NATALE” una istituzione nel nostro mondo scout!!
Ma Zaccheo (il furgone) ci è anche servito a volte per andare a Taizè e tornando ci fermavamo a conoscere una specie di eremita che viveva a Magnano BI in una località chiamata BOSE, dal nome di ENZO BIANCHI.
Se qualcuno mi avesse detto che dopo 40 anni sarei stato li con 47 ragazzi adolescenti della scuola IIS 8 Marzo – K Lorenz di Mirano onestamente gli avrei detto tu sei pazzo da legare!!!!!
E’ la riprova che non sei tu a determinare le cose!!! ma ci sono combinazioni astrali che aiutano a fare grandi cose!!! Nonostante tutti i dubbi e paure che avevo, questa esperienza mi ha toccato il cuore. Ieri alle elezioni dei rappresentanti di classe ho sentito il commento dell’esperienza fatta dai genitori, della 5ACAT e 5BCAT sono rimasto esterefatto… ecco la lettera con la quale ho ringraziato i ragazzi :
Carissimi ragazzi vi ringrazio…..
non ho altre parole per questa esperienza …. una esperienza unica e INDIMENTICABILE per me che mi luccicano gli occhi solo a raccontarla.
Non sia mai che non sappiate che qui a Bose troverete sempre quella sensibilità, quella accoglienza che non vi domanda di far finta, ma di essere solo voi stessi con pregi e difetti, che se accolti diventano DONI
grazie a:
Enrico, Alessandro, Diego, Mattia, Riccardo, Nicola, Nicolò, Alberto, Daniele, Luca, Dario, Daniel, Fabrizio, Daniele, Lorenzo, Gaia, Ester, Serena, Francesca, Vladislava, Chiara, Irene, Silvia, Alessia, Massimiliano, Diego, Simone, Alessio, Marco, Matteo, Jacopo, Alessandro, Leonardo, Giulio, Davide, Omar, Giacomo, Gianluca, Riccardo.
p.s ovviamente per la foto mi sono messo il fazzolettone del SERVIZIO…..
XXXI domenica del tempo Ordinario anno C
di ENZO BIANCHI
Lc 19,1-10
In quel tempo Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Oggi il vangelo ci narra l’incontro tra Gesù e Zaccheo. È un testo che raccoglie in sé nel frammento numerosi fili che attraversano la trama complessiva del vangelo secondo Luca. Gesù è sulla via che dalla Galilea sale verso Gerusalemme, la meta del viaggio da lui intrapreso con grande decisione (cf. Lc 9,51). Una tappa di questo viaggio è la città di Gerico, zona di confine della provincia romana della Giudea. Mentre Gesù sta attraversando Gerico, entra in scena un altro personaggio. Egli è “un uomo”, questa la sua qualità primaria: l’evangelista la evidenzia subito, per chiarire ciò che il protagonista principale del racconto, Gesù, vede in lui. Gesù sa andare oltre l’opinione comune, è capace di sentire in grande, di vedere in profondità: vede un uomo dove gli altri vedono solo un delinquente, coglie in ogni suo interlocutore la condizione di essere umano, senza alcuna prevenzione. Il suo nome è Zakkaj, che significa “puro, innocente”: ironia della sorte oppure un altro particolare che ci dice tra le righe ciò che solo Gesù sa vedere in lui? Quanto al suo mestiere, non è solo un pubblicano, ma un “capo dei pubblicani”, l’emblema per eccellenza del pubblico peccatore, arricchitosi grazie a un’ingiusta condotta.
Zaccheo è consapevole di essere peccatore, di non avere meriti da vantare. Non può affermare, come un altro ricco: “Ho osservato i comandamenti fin dalla giovinezza” (cf. Lc 18,21). Umiliato da questa condizione di disprezzato da tutti, ha nel cuore un grande desiderio di conoscere il profeta e maestro Gesù, nella speranza che l’incontro con lui possa cambiare qualcosa nella sua vita. Lo mostra il suo comportamento: “Cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura”. Anche noi, come lui, andiamo a Gesù e lo cerchiamo non in un’inesistente perfezione, in uno splendore candido e luccicante, ma con i nostri propri limiti, le nostre particolarissime tare e oscurità. O accettiamo di andarci in questo modo, oppure, mentre sogniamo di farci belli per accoglierlo, la vita ci scorre alle spalle senza che ce ne rendiamo conto e così manchiamo inesorabilmente l’ora decisiva dell’incontro con il Signore!
Certo, occorrono desiderio, passione per Gesù, in modo da assumere con intelligenza questi limiti e poter portare anche quelli a lui. Tale passione traspare dal comportamento di Zaccheo: “Corse avanti precedendo Gesù e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché stava per passare di là”. Quest’uomo passa avanti a Gesù: è un unicum nei vangeli, dove il discepolo sta sempre dietro a Gesù (cf. Lc 7,38; 9,23; 14,27), alla sua sequela. Tale gesto apparentemente sfrontato narra in modo icastico la verità di una parola paradossale di Gesù: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31). Per raggiungere il suo scopo, inoltre, Zaccheo non esita a rendersi ridicolo agli occhi altrui. Si immagini la scena: un uomo noto, che ha un certo potere, il quale si arrampica su un albero… Ed ecco un improvviso ribaltamento: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo, lo vide e gli parlò”. Zaccheo desidera vedere e scopre di essere visto da Gesù: in questo incrocio c’è tutto il senso della vita cristiana. Noi vogliamo vedere Gesù, ma è lui che ci vede, ci ama in anticipo, ci chiama e ci offre la vita in abbondanza. D’altra parte, se è vero che l’iniziativa è di Gesù ed è gratuita, si innesta però su una disponibilità dell’uomo, a cui spetta la responsabilità di predisporre tutto all’entrata di Gesù nella sua vita: se Zaccheo quel giorno non fosse salito sull’albero, per Gesù sarebbe rimasto un anonimo in mezzo alla folla!
Qui è necessario sostare pazientemente sulle parole di Gesù. Certo, nella realtà la scena deve essersi svolta con una fretta dettata dall’urgenza del momento. Ma nel narrare questo episodio Luca dosa sapientemente le parole, per permettere al lettore di ogni tempo di comprendere il valore paradigmatico di questo incontro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo rimanere, dimorare a casa tua”.
“Zaccheo”: Gesù lo chiama con il suo nome proprio.
“Scendi”. È come se gli dicesse: “Torna a terra, aderisci alla terra: lo straordinario ti è servito per un momento, ma ora fa ritorno alla tua condizione quotidiana!”.
“Subito, in fretta”: non c’è tempo da perdere, l’occasione è da afferrare senza indugio!
“Oggi”: non ieri né domani. Parola chiave in Luca, dalla nascita di Gesù quando gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi, nella città di David, è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,11); all’inizio della sua attività pubblica, quando nella sinagoga di Nazaret pronuncia quella brevissima omelia: “Oggi questa Scrittura si compie nei vostri orecchi” (Lc 4,21); poi alcune altre volte, fino all’ora della croce, quando Gesù dice al “buon ladrone”: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). Sempre noi incontriamo Gesù oggi!
“Devo, è necessario”: altra parola chiave (deî, che compare per ben 18 volte in questo vangelo, da Lc 2,49 fino a Lc 24,44). Esprime il modo in cui Gesù, nella sua piena libertà, va incontro alla necessitas umana e divina della passione, compiendo la volontà di salvezza di Dio per tutti gli uomini.
“Rimanere, dimorare” (non semplicemente “fermarmi”), come avviene per il Risorto con i discepoli di Emmuas (cf. Lc 24,29).
“A casa tua”: entrare nella casa di un altro significa condividere con lui l’intimità; nello specifico, essendo Zaccheo un peccatore pubblico, questo auto-invito di Gesù significa compromettersi in modo scandaloso con il suo peccato.
Esaminate nel loro insieme, queste parole di Gesù mostrano anche una grande delicatezza. Gesù non dice: “Scendi subito perché voglio convertirti”, oppure, come forse avrebbe fatto il Battista: “Convertiti, fai frutti degni di conversione (cf. Lc 3,8), poi scendi e vedremo il da farsi”. No, chiede a Zaccheo di essere suo ospite. Ovvero, si fa bisognoso, si “spoglia” per entrare in dialogo con lui, parla il suo linguaggio, quello di chi era abituato a dare banchetti e ad accogliere persone in casa propria per fare affari. E qui sta per compiere l’affare della sua vita!
E così siamo giunti non solo al centro del nostro testo, ma al cuore di una verità che, se ci crediamo davvero, può cambiare la nostra vita: non è la conversione che causa il perdono da parte di Dio, di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione! Si pensi alla parabola del Padre prodigo d’amore (cf. Lc 15,11-32): il figlio minore, trovandosi in difficoltà, si era preparato il discorso di circostanza, ma le sue parole gli muoiono in bocca quando vede il padre che, “mentre è ancora lontano, lo vede, è preso da viscerale compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia” (cf. Lc 15,20). È in questo momento che è convertito, non in base a un suo programma di conversione! Con il suo comportamento Gesù rivela un volto di Dio che ci offre gratuitamente il suo perdono: se lo accogliamo, potremo anche convertirci, non viceversa!
Lo dimostra la reazione di Zaccheo, che “scende in fretta e lo accoglie pieno di gioia”, gioia che è un tratto caratteristico della vita del discepolo di Gesù (cf. Lc 6,23; 8,13, ecc.). Con questa annotazione il testo potrebbe concludersi: nel mistero del faccia a faccia tra Gesù e Zaccheo si compirà la salvezza per la vita di quest’uomo. Ma ecco che, come spesso è accaduto a Gesù, i benpensanti non sopportano la sua libertà e non tollerano che egli si rivolga di preferenza ai peccatori manifesti, narrando così il desiderio di Dio di “salvare tutti gli umani” (cf. 1Tm 2,4), a partire da quelli additati come “perduti” (cf. Lc 15,6.9.24.32). Più volte nel vangelo secondo Luca Gesù è disprezzato dagli uomini religiosi, che mormorano per il suo sedere a tavola con i peccatori (cf. Lc 5,30; 15,1-2). Nel nostro brano si registra addirittura una condanna generalizzata: “Tutti mormoravano: ‘È entrato in casa di un peccatore!’”. Resta sempre la possibilità di uno sguardo cattivo, che continua a vedere in Zaccheo solo il peccatore e in Gesù solo un falso maestro…
La prima reazione a queste voci di condanna è di Zaccheo, che sta in piedi, nella sua bassa statura, e parla con risolutezza. Gesù non ha detto nulla a Zaccheo sulla sua ingiusta condotta di capo dei pubblicani, ma la fiducia accordatagli da questo rabbi gli è sufficiente per comprendere che deve cambiare radicalmente. Zaccheo allora, restituito alla sua soggettività, parla rivolto a Gesù, che chiama “Signore” (grande confessione di fede!), senza curarsi dei falsi giusti che li accusano. Costoro peccano nel loro cuore e con il loro occhio cattivo; lui si impegna a compiere un gesto concreto che riguarda le sue ricchezze, e soprattutto riguarda gli altri, i destinatari del suo peccato: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”, ben oltre il dovuto secondo la Legge. Il gesto di quest’uomo è all’insegna della giustizia e della condivisione: questo il modo di impiegare le ricchezze per un discepolo di Gesù.
A questo punto Gesù, rivolto al solo Zaccheo, fa un commento articolato in due momenti. Prima dice: “Oggi la salvezza è avvenuta in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”, cioè non solo un uomo, ma anche un membro della comunità di fede, un figlio suscitato dalle pietre del peccato (cf. Lc 3,8). E come si manifesta la salvezza, come avviene la storia di salvezza? Nella salvezza delle storie di coloro che Gesù incontra. Sì, l’accoglienza della salvezza è ormai direttamente accoglienza di Cristo stesso, è esperienza di chi incontra Gesù, mette in lui la sua fiducia e si lascia da lui salvare.
Lo esprime bene il commento finale: “Il Figlio dell’uomo” – ossia Gesù stesso che parla di sé in terza persona, prendendo una misteriosa distanza da sé – “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. È una parola che ne ricorda altre di Gesù: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Lc 5,32); o la conclusione della parabola già citata: “Bisognava fare festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32). Di più, è un detto straordinario, che ricapitola e rilancia in avanti questo brano, illuminando la nostra vita quotidiana. Ci dice infatti che, come è entrata quel giorno nella vita e nella casa di Zaccheo, così la salvezza portata dal Signore Gesù può entrare ogni giorno, ogni oggi, nelle nostre vite. Il Signore ci chiede solo di aprire il nostro cuore all’annuncio che ha la forza di convertire le nostre vite: egli “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, è venuto a offrirci di vivere con lui, anzi di venire lui a dimorare in noi. Davvero ciascuno di noi dovrebbe confessare: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io” (1Tm 1,15)!
Il suo cercarci e il suo salvarci sono la nostra indicibile gioia, la fonte della nostra possibile conversione. Anche quando ci sentiamo perduti, mai dobbiamo disperare dell’amore misericordioso del Signore Gesù, più tenace di ogni nostro peccato, più profondo di ogni nostro abisso: con lui la salvezza è la possibilità di ricominciare a camminare veramente liberi sulle strade della vita. Ciò che è accaduto quel giorno a Zaccheo, può accadere anche a noi, oggi, grazie all’incontro con Gesù. Questo oggi è sempre di nuovo possibile: niente e nessuno può opporsi al perdono di Dio in Gesù Cristo, che ci consente di ricominciare ogni giorno.
Brendan Fernandes, Homecoming, video di pochi secondi a proiezione continua.
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Brendan Fernandes ha origini keniote e Indiane, ma vive e lavora in Canada. Il video che stiamo vedendo può essere letto sotto diversi punti di vista. Cercheremo di sottolinearne alcuni. Dopo pochi secondi che lo vediamo diventiamo quasi consapevoli del fatto che i leoni stiano parlando e dicendo davvero “go home” (trad. Vai a casa!). Questo ci mette di fronte ad un cortocircuito comunicativo e percettivo. I leoni e il testo presi da soli non hanno nulla in comune, ma metterli assieme come se le parole fossero i sottotitoli del video ci mette in difficoltà.
A chi stanno parlando questi leoni? Chi stanno minacciando ruggendo intimandogli di tornare a casa? Allargo lo sguardo al contesto di questo video che è stato presentato nella mostra “Where Do We Migrate To?” (trad. Verso dove stiamo migrando?), che cercava di presentare il tema del nomadismo da vari punti di vista attraverso le espressioni contemporanee. Ecco svelato uno dei livelli di lettura del video: i leoni sono coloro che si oppongono con parole e gesti “ruggenti” all’accoglienza dei migranti. “Tornate a casa!, Che ci venite a fare qui?”, detto ruggendo non è una domanda, ma una esplicita minaccia. Sono le parole opposte a quelle di Gesù nel vangelo di questa domenica: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. Gesù si fa accogliere da Zaccheo, ma in realtà le parole del capo dei pubblicani ci dicono che è lui che si sente accolto da Gesù.
In questo momento storico di movimento di popoli il video ci ricorda di non trasformarci in animali, ma di restare uomini e donne capaci di cogliere l’umanità dell’altro, anche se si trova su un albero, anche se tanto diverso da noi.
Il secondo cortocircuito di questo video è relativo al soggetto che vediamo: i leoni portano subito la nostra mente all’africa, uno dei continenti di provenienza dei migranti. Quindi il rappresentante stesso della “casa” dei migranti non li tratta con favore, ma li scaccia. E’ una condizione terribile: non essere più a casa nemmeno nei luoghi che sembrerebbero più familiari e quotidiani. Andare via diviene una condizione irreversibile. A questo si lega anche il titolo del lavoro “Homecoming” (trad. Ritorno a casa). Quale casa? Oggi Gesù ci ricorda che lui è venuto “a cercare e a salvare ciò che era perduto”, siamo chiamati anche noi discepoli e discepole a fare lo stesso? O preferiamo ruggire?