6 agosto 2017
Trasfigurazione del Signore
di ENZO BIANCHI
Mt 17,1-9
In quel tempo, 1 Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4 Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6 All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7 Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8 Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9 Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Ricorre in questa domenica la festa della Trasfigurazione del Signore, particolarmente cara alla tradizione monastica, celebrata in oriente a partire dal IV secolo e in occidente dall’XI. La via per accogliere questo grande mistero e così conoscere meglio l’identità del Signore Gesù, consiste come sempre nel fare obbedienza al vangelo, contemplando per quanto ci è possibile questa pagina luminosa: quest’anno secondo la versione di Matteo, che leggeremo però anche alla luce di Marco e Luca.
L’evento della trasfigurazione è profetizzato da Gesù, che dopo il primo annuncio della sua passione-morte-resurrezione dice ai discepoli: “Vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo Regno” (Mt 16,28). Gesù è il regno di Dio in persona, come ha ben compreso Origene; Gesù, che ha annunciato la venuta del regno di Dio, ora è rivelato dal Padre come Regno veniente con potenza, e di ciò l’evento della trasfigurazione appare come un’anticipazione. Sei giorni dopo queste parole, “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte”. Egli compie un’elezione, e dei dodici prende con sé solo tre, tra i primi chiamati alla sequela (cf. Mt 4,18-22). Sono i tre discepoli più vicini a Gesù, già scelti come testimoni della resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,37-43), quelli che saranno poi anche i testimoni della sua de-figurazione nell’orto del Getsemani, alla vigilia della passione (cf. Mt 26,36-46). Sono scelti non per particolari meriti ma, nell’imperscrutabile volontà di Dio, perché possano diventare testimoni di Gesù
Presi con sé da Gesù, essi salgono con lui sull’alta montagna, la montagna della rivelazione di Dio che a partire dal II secolo è identificata col Tabor. C’è in questa salita sul monte l’eco di tutti i racconti di teofania, di rivelazione di Dio dell’Antico Testamento: rivelazione sui monti del Sinai e dell’Oreb, che sono un’unica montagna (cf. Es 3,1) salita e discesa da Mosè (cf. Es 19-34) e da Elia (cf. 1Re 19,1-18); rivelazione sulla “montagna della dimora del Signore elevata al di sopra dei monti” (Is 2,2; Mi 4,1)… Dunque questa salita è finalizzata a un evento decisivo, in cui i discepoli beneficeranno di una rivelazione fatta da Dio, di un’epifania che riguarda il loro maestro, confessato poco prima da Pietro come Messia (cf. Mt 16,16). Ed ecco che, mentre Gesù era in preghiera, “fu trasfigurato” (passivo divino), subì un mutamento di forma nei vestiti e nel corpo. Luca, temendo che i lettori comprendano questo evento come un mito, preferisce usare un’espressione più neutra: “L’aspetto del suo volto divenne altro” (Lc 9,29). Qui riscontriamo come l’evento sia in realtà inesprimibile e come il linguaggio degli evangelisti sia inadeguato: Matteo parla di “vesti bianche come la luce”, Marco le descrive “splendenti, bianchissime, quali non le potrebbe rendere nessun lavandaio”, Luca le definisce “sfolgoranti”…
Invece del corpo e del volto umano, quotidiano di Gesù come lo conoscevano i discepoli, il mutamento fornisce la visione di un volto altro, luminoso, trasfigurato da un’azione che poteva solo essere divina. Se Paolo nell’inno della Lettera ai Filippesi confessava: “Colui che era nella forma di Dio … prese la forma di schiavo” (cf. Fil 2,6-7), nella trasfigurazione colui che aveva la forma di schiavo riprende la sua forma di Dio e risplende di luce divina. Qualcosa della gloria, della luce di Dio risplende in Gesù, per quanto è possibile vedere ai discepoli: Gesù appare nella forma di uno dei “giusti splendenti come il sole nel Regno del Padre loro” (cf. Mt 13,43), come lui stesso aveva rivelato; appare come uno dei santi sapienti “splendenti nel firmamento come stelle per sempre” (Dn 12,3). Ciò che accade è dunque una vera “Cristofania”, una rivelazione di chi è il Cristo, il Messia.
In quel momento “si aprono i cieli” (cf. Mt 3,16) e appaiono Mosè ed Elia in dialogo con Gesù. Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti che sintetizzano tutte le Scritture di Israele, l’Antico Testamento, sono accanto a Gesù come testimoni e interpreti. Anzi, in quel loro “parlare insieme” a Gesù mostrano un’autentica interpretazione spirituale in atto: Gesù è l’ermeneuta della Legge e dei Profeti che sempre, “cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiega in tutte le Scritture ciò che si riferisce a lui” (cf. Lc 24,27); e Mosè ed Elia, definiti da Luca “due uomini”, sono coloro che, presenti accanto alla tomba vuota, interpreteranno le parole dette da Gesù nella sua vita e lo proclameranno Crocifisso-Risorto (cf. Lc 24,4-7). Proprio in quest’ottica, Luca specifica che Mosè ed Elia “parlavano con Gesù del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,31). Dunque la Legge e i Profeti testificano la necessitas passionis di Gesù, lo indicano come il Servo del Signore che deve passare attraverso l’abbassamento e l’innalzamento, e così mostrano la continuità della fede tra Antica e Nuova Alleanza. Le attese messianiche di Israele sono veramente compiute, e Gesù il Messia appare come l’esegesi vivente e il compimento autentico delle Scritture.
Nella straordinarietà del momento, Pietro dice a Gesù: “Signore (Kýrios), è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Crede forse che sia giunta la fine dei tempi? Pensa alle tende della festa delle Capanne, carica di senso escatologico? Pensa di erigere per Gesù, Mosè ed Elia la tenda dell’incontro fatta da Mosè per incontrare Dio (cf. Es 33,7-11)? In ogni caso, i tre discepoli non sanno rispondere a quell’evento, come nell’ora del Getsemani, e sono presi da spavento per la rivelazione di cui sono destinatari, lo stesso spavento provato dalle donne nell’alba di Pasqua…
Mentre Pietro sta parlando, ecco arrivare “una nube luminosa che li copre con la sua ombra”. Sullo sfondo vi è sempre il racconto della teofania rivolta sul Sinai a Mosè: sull’alta montagna c’era una nube che la copriva (cf. Es 19,16; 20,21; 24,15; ecc.), simbolo della Presenza di Dio, segno del Dio che è sceso, e tuttavia resta nascosto, Santo, separato dal mondo. Questa nube che sul monte indicava la Dimora di Dio passò sul tabernacolo costruito da Mosè nel deserto (cf. Es 40,34-35) e, nell’ora della dedicazione del tempio, riempì il Santo (cf. 1Re 8,10-12). Questa nube è dunque la Shekinah, la Presenza di Dio, letta dalla tradizione rabbinica come Presenza attraverso lo Spirito santo. L’introito della messa latina giustamente dice: “Lo Spirito santo apparve nella nube luminosa e la voce del Padre risuonò”… Questa è dunque la risposta alle parole di Pietro: non tre tende fatte da mano d’uomo, ma una nube, la Shekinah di Dio. Ecco la realtà ultima e definitiva: non più una tenda, non più un tempio, non più un Santo dei santi, ma la Dimora-Presenza di Dio è in Gesù Cristo, lui che è Dimora, Tempio e Presenza!
E dalla nube della Presenza di Dio ecco venire la voce del Padre, la parola di Dio: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!”. Gesù aveva già ascoltato questa parola nel battesimo, nell’immersione ricevuta da Giovanni il Battista; allora i cieli si erano aperti e la voce aveva dichiarato a Gesù solo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te mi sono compiaciuto” (Mt 3,17). Di fatto la voce del Padre allora aveva ripetuto le parole dette sul Servo: “Ecco il mio Servo che io sostengo, in cui si compiace la mia anima” (Is 42,1), attestando che il Figlio di Dio è il Servo del Signore. Ora questo viene annunciato ai tre discepoli: colui che i discepoli avevano seguito, coinvolti nella sua vita, colui che avevano ascoltato e visto agire come Maestro, Profeta, Messia, è rivelato dal Padre come “Figlio amato” e “Servo del Signore”. Sì, attraverso la rivelazione del Padre Gesù appare insieme come il Messia intronizzato del Salmo 2 (“Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato”: Sal 2,7) e come il Servo che Dio stesso presenta a Israele tramite il profeta Isaia (cf. Is 42,1-9).
Vi è qui l’incrociarsi delle diverse attese messianiche di Israele: quella di un Messia regale, di un Messia profetico e di un Messia escatologico. Per questo ormai può risuonare l’invito: “Ascoltatelo!”, che è l’eco della parola di Dio sual profeta escatologico (cf. Dt 18,15) ed è anche l’eco dello Shema‘: “Ascolta, Israele…” (Dt 6,4). Ormai l’ascolto di Dio stesso è ascolto di Gesù, del Figlio, Parola vivente di Dio! Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, cedono il posto a Gesù dopo avergli reso testimonianza, perché ormai è lui l’esegesi del Padre (cf. Gv 1,18); è lui, Gesù, che può dire in verità chi è Dio ed evangelizzarlo, renderlo cioè buona notizia per tutti gli esseri umani; è lui il Lógos, la Parola definitiva…
Ma la visione svanisce, e Gesù è di nuovo contemplato “solo” nella quotidianità umile della natura umana. Poi, mentre scendono dall’alta montagna, Gesù ordina ai discepoli: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”. La rivelazione è stata straordinaria, ma deve restare sotto silenzio, perché non sia svelato il segreto messianico prima dell’ora della resurrezione.
Al termine di questa lettura puntuale, vorrei evidenziare solo alcuni significati della trasfigurazione per la nostra fede cristiana. Innanzitutto contemplare la trasfigurazione significa comprendere in profondità l’evento del battesimo di Gesù. La parola di Dio rivela l’identità di Gesù: egli è il Figlio di Dio che deve fare esodo, cioè patire-morire-risorgere. Nello stesso tempo l’evento della trasfigurazione annuncia ciò che accadrà a Gerusalemme, quando nell’ora della croce il centurione confesserà: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mt 27,54). Sì,l’evento della trasfigurazione è memoriale del battesimo e oracolo della croce, e la posizione centrale assegnatogli dagli evangelisti vuole indicare questa sua qualità di memoriale e di profezia.
La trasfigurazione è anche mistero di luce, che illumina tutto il corpo (Israele e la chiesa; Mosè, Elia e i discepoli) insieme al Capo. Non c’è immagine biblica più efficace per narrare l’unità della fede nei due Testamenti, la centralità di Gesù il Messia, la pienezza della rivelazione in lui, l’essere un solo corpo da parte dei credenti che nell’Antico Testamento attendevano il Messia e nel Nuovo lo confessano e lo annunciano.
E infine la trasfigurazione è mistero di trasformazione: il nostro corpo e questa creazione sono chiamati alla trasfigurazione, a diventare “altro”; il nostro corpo di miseria diventerà un corpo di gloria (cf. Fil 3,21), e “la creazione che geme e soffre nelle doglie del parto” (cf. Rm 8,22) conoscerà il mutamento in “cielo nuovo e terra nuova” (Ap 21,1). Ciò che è avvenuto sul monte Tabor in Gesù avverrà per tutti i credenti e per il cosmo intero alla fine della storia… Nell’attesa di quel giorno a noi non resta che contemplare, per quanto ne siamo capaci, “il volto di Cristo su cui risplende la gloria di Dio” (cf. 2Cor 4,6): così, “riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasfigurati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, attraverso l’azione dello Spirito santo” (cf. 2Cor 3,18). Così nella tua luce vedremo la luce, Signore (cf. Sal 35,10)!
Ettore Spalletti (1940 -), Impasto di cobalto e d’oro, impasto di colore e foglia d’oro su tavola, 2009, 100 x 100 x 4 cm.
Un quadro può essere senza immagine, ma mai privo di un soggetto. I quadri di Spalletti potrebbero essere subito messi da parte come “noiosi monocromi”, ma al di sotto di questi colori c’è di più, molto di più, se siamo disposti a concedergli un po’ di tempo e uno sguardo meno furtivo.Partiamo da un testo dello stesso Spalletti che descrive il suo modo di lavorare:
1975. Tecnicamente procedo così. Ottengo un impasto mescolando il gesso preparatorio con la colla, e lo stendo ancora caldo sul supporto, che può essere una tela o un legno, o addirittura uno spessore di intonaco. Se potessi lavorerei sulla parete. Quando la pasta è ancora fresca, ci metto il colore, che viene assorbito. Quindi lo spessore diventa tutto colorato. Ma il colore non è reale, viene restituito attraverso la quantità di bianco che ho messo nell’impasto. Quindi il rosso diventa rosa, il nero diventa grigio e così via. Dopo, quando la pasta è asciutta, ci vado su con la carta abrasiva. Mi interessa questo rapporto tattile con la superficie…questo colore non esiste, ma viene fuori attraverso la polvere.
L’azzurro che vediamo quindi non è piatto, ha tutte quelle sfumature di un cielo sereno, di un mare che si fonde con l’alba, del cielo spazzato dal vento, presagio di una giornata fredda. Ciò che abbiamo di fronte non è solo un colore, ma un’atmosfera, quella che permette a questo quadro attraverso i nostri occhi di arrivare ai ricordi in cui abbiamo “visto” quell’azzurro, potremmo dire che ci fa approdare ai nostri “ricordi azzurri”. L’occhio procede lentamente notando le sfumature, senza stancarsi. Ci trasmette un senso di quiete, di silenzio, di intimità. È proprio quell’atmosfera che fa dire a Pietro dinnanzi a Gesù trasfigurato: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Un’atmosfera che è mistero di luce, un nuovo sguardo verso le cose.
Spalletti riesce a farci vedere ciò che gli evangelisti a stento sono riusciti a descrivere, ovvero quest’atmosfera di luce che irradiata dal Cristo avvolge i discepoli. Una sua grande mostra (in tre diversi musei italiani) del 2014 aveva come titolo un suo verso:
“Un giorno così bianco, così bianco”
che sembra un’eco contemporanea del versetto 2 del vangelo di questa domenica
“E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.”
Spalletti ci invita a contemplare, con calma, il riverbero della luce sui suoi quadri per farci scoprire come la bellezza si nasconde in tutte le cose, anche in quelle più quotidiane. Noi come credenti possiamo farne tesoro per cercare la luce del volto di Gesù in tutte le pieghe, anche in quelle più abituali, del nostro quotidiano. La Trasfigurazione è presagio di ciò che avverrà alla fine della storia, ma anche memoria che il nostro sguardo può davvero trasfigurare il mondo e arrivare a vedere “un giorno così bianco, così bianco”.
a cura di fratel Elia