3 dicembre 2017
Prima domenica di Avvento
di ENZO BIANCHI
Mc 13,33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:” 33 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36 fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”.
Abbiamo appena terminato l’anno liturgico A, nel quale ci è stato proposto, come lectio cursiva domenicale, il vangelo secondo Matteo. Con questa domenica, prima del tempo delle venute di Cristo (Avvento), iniziamo la lettura del Vangelo secondo Marco che ci accompagnerà in questo nuovo anno liturgico (B).
Se Matteo nell’ultima domenica ci proponeva l’affresco della venuta del Figlio dell’uomo e del suo giudizio su tutta l’umanità (cf. Mt 25,31-46), oggi Marco pone ancora davanti ai nostri occhi la venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi e ci istruisce su come attendere quel giorno. Secondo l’evangelista più antico, la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo avverrà dopo una tribolazione nella quale l’assetto attuale del mondo sarà sconvolto e avrà fine (cf. Mc 13,5-23). Allora tutta l’umanità sarà posta di fronte alla visione del Figlio dell’uomo veniente sulle nubi con grande potenza e gloria (cf. Mc 13,24-27; Dn 7,13-14). Sarà un evento estrinseco alla storia e alla volontà umana, che realizzerà un decreto del Padre: il Figlio dell’uomo instaurerà per sempre il suo Regno e, attraverso i suoi messaggeri, radunerà i chiamati da lui. Visione apocalittica, rivelativa, le cui immagini devono evocare l’inenarrabile azione di Dio, che è e sarà sempre azione di salvezza e di liberazione.
La parusia, la venuta gloriosa, coinciderà con la fine dell’attuale creazione e l’avvento della nuova, un evento che avverrà certamente ma la cui ora non è conosciuta da nessuno se non da Dio, come Gesù afferma subito prima del nostro brano liturgico: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32). Neppure Gesù li conosce, lui che, nella condizione di vero uomo in tutto simile a noi eccetto il peccato (cf. Eb 4,15), ignora e dunque non può dichiarare quell’ora che verrà improvvisa, sia che gli umani la attendano sia che non l’attendano. Certo, ci sono dei segni che possono ammonire, segni che richiedono un discernimento attento: come, osservando le gemme del fico, al loro gonfiarsi si può intravedere che l’estate è vicina, così i credenti, leggendo in profondità gli eventi della storia, possono comprendere che “il giorno del Signore” (jom ’Adonaj) è vicino e che il Figlio dell’uomo è alle porte (cf. Mc 13,28-31). E proprio affinché i discepoli attendano quel giorno ed esso non li colga all’improvviso, Gesù consegna loro un’ammonizione nella quale è contenuto anche l’abbozzo di una parabola.
Egli comincia dicendo: “State in guardia e vegliate”. All’inizio del discorso escatologico, e poi altre due volte prima di questa, Gesù ripete: “State in guardia” (blépete: Mc 13,5.9.23). Qui lo ribadisce per la quarta volta, in modo dunque incalzante, unendo questo monito all’altro: “Vegliate” (agrypneîte; in modo analogo, con il martellante verbo gregoréo ai vv. 34, 35 e 37). Stare in guardia, attenti, e vegliare è un atteggiamento assolutamente necessario nella lotta, e la vita cristiana è una lotta, un combattimento contro l’intontimento spirituale, il letargo della consapevolezza, l’assopimento della convinzione nella fede, il raffreddamento della carità (cf. Mt 24,12). Altre volte nel vangelo secondo Marco Gesù richiama i discepoli a questa vigilanza per ascoltare la parola di Dio (cf. Mc 4,24), per non essere influenzati dal lievito dei farisei (cf. Mc 8,15), dall’ipocrisia degli scribi (cf. Mc 12,38), dall’inganno di quanti predicono il futuro come se lo conoscessero (cf. Mc 13,23). Egli vuole che i discepoli siano convinti della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, perché questo ormai è il solo evento che conta veramente e definitivamente nella storia. Anche l’Apostolo Paolo chiederà alla comunità cristiana questa vigilanza, questa capacità di stare svegli destandosi dal sonno, perché il giorno del Signore è vicino (cf. Rm 13,11). Il momento non è conosciuto, occorre dunque attenderlo per essere pronti ad accogliere il Veniente, il Signore stesso!
Ecco allora, di seguito, la breve parabola. Un uomo parte per un viaggio lontano dalla sua casa e, nel lasciarla, dà potere ai suoi servi e ordina al portinaio di vigilare. Detto questo, Gesù si rivolge direttamente ai discepoli, perché è chiaro che quella parabola li riguarda direttamente: presto egli partirà – sarà infatti catturato, condannato e ucciso – e i suoi discepoli resteranno senza di lui. Vi sarà dunque un tempo contrassegnato dalla sua assenza, ma i discepoli hanno ricevuto ciascuno una missione, un compito e c’è anche qualcuno che, come il portinaio, è chiamato a vegliare sull’intera comunità. Le responsabilità affidate sono diverse e certamente il portinaio (figura sotto la quale si può cogliere anche un’allusione a Pietro, che spesso Marco distingue dagli altri undici) ha un compito superiore a quello degli altri: a lui è stato dato molto e sarà richiesto molto di più (cf. Lc 12,48), perciò soprattutto lui deve stare in guardia sulla casa e sui servi lasciati in essa.
Si tratta dunque di vegliare, perché quell’uomo, il Signore della casa, verrà. Attenzione, non si dice che “ritornerà”, perché nei Vangeli mai si parla di “ritorno”, bensì di “venuta” del Signore. Egli è il Veniente (ho erchómenos), che sempre può venire: alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, o al mattino… le ore del sonno o del primo risveglio! Potrà venire alla sera, l’ora in cui proprio i tre discepoli più vicini a Gesù – Pietro, Giacomo e Giovanni –, chiamati a vegliare in preghiera per soffrire insieme a Gesù tentato nell’imminenza della sua passione e morte, dormivano (cf. Mc 14,32-42). Potrà venire all’ora del canto del gallo, quando Gesù sta davanti al sommo sacerdote ed è processato, mentre Pietro lo rinnega dicendo di non averlo mai conosciuto, come il Signore gli aveva anticipato (cf. Mc 14,66-72). Potrà venire all’alba, quando la tomba di Gesù si presenta vuota perché egli è risorto da morte, ma i discepoli restano increduli anche di fronte all’annuncio pasquale delle donne discepole (cf. Mc 16,1-11). Sono ore di rivelazione di Gesù, ore della sua venuta, eppure i discepoli, i Dodici, le hanno disertate tutte, e significativamente Marco mette in luce questi fallimenti, questa non vigilanza. Per questo saranno le donne a ricevere l’annuncio pasquale e l’ordine di andare a proclamare ai suoi discepoli e a Pietro che Gesù è risorto e li precede tutti in Galilea, là dove li aveva chiamati e dove aveva vissuto con loro: è una chiamata a ricominciare…
Vegliare nella notte, vigilare, stare attenti e in guardia, sono tutte espressioni che indicano ciò che compete a ciascun discepolo, in particolare a chi è chiamato a vigilare in modo particolare, essendo posto come sentinella sulla casa e sulla comunità del Signore. Queste sentinelle hanno anche il compito di tenere svegli gli altri, di impedire loro di assopirsi e dormire. “Sentinella, a che punto è la notte?” (Is 21,11), è la domanda che i cristiani rivolgono ai loro pastori, ma purtroppo a volte anche i pastori non vegliano e dormono, incapaci di rispondere alle attese di quelli che sono stati loro affidati.
E ciò che Gesù ha detto ai quattro discepoli sul monte degli Ulivi (i tre di cui sopra, più Andrea: cf. Mc 13,3), lo indirizza anche a tutti gli altri: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”. Ebbene, chiediamoci: noi cristiani, che vogliamo essere discepoli di Gesù, attendiamo ancora veramente la sua venuta? Siamo quelli che Paolo definiva “in attesa della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (cf. 1Cor 1,7)? Il grande Basilio di Cesarea ammoniva: “‘Che cosa è specifico del cristiano?’. ‘Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronti nel compiere pienamente la volontà di Dio, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene (cf. Mt 24,44; Lc 12,40)’” (Regole morali 80,22). E i padri del deserto, dal canto loro, arrivavano a dire: “Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante” (Detti dei padri, collezione alfabetica, Poemen 135), perché sapevano e avevano sperimentato che la vigilanza è la matrice di tutte le virtù cristiane.
Il cristiano dovrebbe vivere la vigilanza anche vegliando nella notte, vivendo l’attesa nel suo corpo, nella sua carne, e non lasciandola relegata ai pensieri pii. Ma in ogni caso, il fine del vegliare, anche sottraendo ore al sonno, è l’acquisizione della consapevolezza di ciò che si è e della responsabilità che si ha nella compagnia degli uomini e nella comunità del Signore. Vigilare è vivere con i sensi svegli, resistendo all’intorpidimento spirituale, al venire meno della sovraconoscenza dataci dalla fede. Vigilare è aderire alla realtà ed essere fedeli alla terra, sapendo e affermando di essere sempre alla presenza di Dio, “tempio dello Spirito santo” (1Cor 6,19) e corpo del Cristo risorto nella storia. Vigilare è resistere allo spirito dominante e conservare la capacità di critica, per non piegarci al “così fan tutti!”.
Nella chiesa, il vescovo, colui che vigila (epískopos), non si dimentichi non solo di restare sveglio, ma di risvegliare anche quanti sono a lui affidati. Sì, fa parte del ministero episcopale svegliare i sonnolenti, affinché la loro fede sia rinsaldata e tutta la chiesa attenda il Signore veniente, unendo la sua preghiera all’invocazione dello Spirito, perché “lo Spirito e la sposa dicono: ‘Vieni!’” (Ap 22,17). Il lettore delle sante Scritture partecipi dunque a questa invocazione e la ripeta senza tregua, entrando con tutte le sue forze in quel dialogo che chiude l’intera Bibbia e avvolge l’intera nostra vita:
“Sì, vengo presto!”.
“Amen. Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20).